“L'11 febbraio vi invitiamo a un'esperienza che va oltre la fotografia: un incontro con l'essenza più autentica dell'essere umano. Dieci storie, dieci percorsi di trasformazione raccontati attraverso gli occhi di chi ha attraversato il cambiamento.
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Non è solo una mostra. È un'opportunità per fermarsi, osservare e sentire. Per riconoscersi nell'altro e scoprire che, nella fragilità, esiste una potenza capace di generare connessioni profonde.
La Fondazione Macri è un ente non profit che si occupa di sostenere i "FRANGIBILI" ossia tutti coloro che a causa di una situazione precaria si trovano in una condizione di aumentata vulnerabilità.
Ci sono storie che non hanno bisogno di parole. Basta un'immagine per cogliere la profondità di un vissuto, la forza silenziosa che nasce dalla vulnerabilità.
Lo scorso anno la mia amica Cristina mi aveva chiesto se volevo partecipare a uno shooting fotografico molto particolare sulle Frangibilità, termine che non avevo mai sentito prima. Non dico mai di no alle mie amiche e soprattutto quando qualcosa mi incuriosisce. (apri articolo del blog con l’esperienza).

Nei mesi seguenti alcuni dei materiali sono stati utilizzati su Instagram per promuovere la fondazione e come “avvicinamento” alla mostra. Finalmente oggi è stata presentata la mostra, che verrà aperta in futuro non appena trovata una sede adatta. Non avevo visto quali fotografie avessero scelto, avevo dato loro carta bianca, ed ero curiosa soprattutto se mi sarei piaciuta. Nel percorso di transizione si cambia il fisico e il volto e un’anno è davvero tanto, ma in realtà vista dall’esterno non sono cambiata così tanto.
Per la mostra sono arrivata al naviglio di Porta Genova, la fermata della metro più comoda per me, e ho fatto altri 15 minuti a piedi perché è all’altro naviglio. Camminando sotto la pioggia sono arrivata fuori dalla mostra e ho scoperto che è in una Biblioteca. Dai vetri ho visto alcune fotografie, ma non ho voluto vedere i dettagli per non perdermi la sorpresa di quando tra quaranta minuti ci sarà l’apertura. Potrei entrare prima, dato che sono una dei testimonial, che hanno prestato alla campagna la propria immagine, ma preferisco attendere e ragionare sulla giornata di oggi dove ho incontrato due mie amiche meravigliose, una al mattino e l’altra in tardo pomeriggio.

Emozione, è l’unica parola per descrivere questa serata.
Anche se mancava mezz’ora all’apertura, faceva freddo, così ho deciso e sono entrata, ho salutato la mia amica Cristina con un grande abbraccio e sorrisi, quindi mi ha presentato le altre persone che hanno organizzato tutto il progetto. Alcune le avevo conosciute durante lo shooting.
La vista della sala e le fotografie (50 scatti in totale) hanno un impatto visivo notevole, ma che non è stato nulla quando mi sono avvicinata e letto le didascalie con le nostre storie.

Già a guardare e leggere il testo del primo modello, mi ha preso un colpo al cuore leggendo la storia di questo ragazzo, sordo dalla nascita che con la logopedista ha imparato a parlare molto bene e addirittura scrive musica rap!
Ho pensato a quante altre emozioni avrei provato guardando le altre fotografie e leggendo le loro storie e così è stato. Ognuno racconta qualcosa di importante che è stato superato e le fotografie sono veramente belle, il bianco e nero aiuta, e rendono giustizia al vissuto di ognuno. Siamo proprio noi, anche se visti dall’occhio della fotografa Daria Volkosh (vai sul suo sito).

La terza in ordine a esposizione ero io, e nonostante ogni tanto, quando sono ritratta di profilo non mi vedo ancora come vorrei essere, in queste fotografie mi sono accettata tanto erano belle.
Mi ero anche dimenticata che avevo portato allo shooting la testa del manichino, dove avevo messo la parrucca e in due fotografie si vede che l’accarezzo, forse un sogno di come volevo essere all’inizio del mio percorso e come sono diventata.
La mia amica Cristina mi ha detto che le mie fotografie sono tra le più belle e soprattutto la mia storia l’ha colpita molto. La stessa cosa me l’hanno detta alcune delle persone che sono venute a vedere la mostra e mi hanno parlato.

Credo che non mi rendo ancora conto di quello che ho fatto nel mio percorso che è stato di liberare me stessa. Tutti dicono che nelle mie parole e nelle fotografie racconto davvero me stessa e il percorso e l’evoluzione che ho fatto. Rispetto alle altre storie non mi sembra di aver fatto molto, ma probabilmente ho dimenticato il tipo di sofferenza che avevo prima nel non essere chi volevo e come mi sentivo.
Ecco la mia didascalia:
La mia Rinascita
Mi chiamo Bianca, un nome che ho scelto cinque anni fa. Alla nascita mi era stato dato un altro nome, quello di mio nonno paterno. Per anni ho vissuto due vite: quella che mi era stata imposta e quella che, nel silenzio e nella paura, sognavo di vivere.
Per troppo tempo ho cercato di essere ciò che gli altri si aspettavano da me. Cercavo di essere un uomo perché così mi avevano insegnato, perché così sembrava giusto agli occhi della società, della mia famiglia, delle mie sorelle. Dentro di me, però, sapevo la verità. Quando ero sola, quando finalmente potevo indossare un abito femminile, mi sentivo viva. Eppure, quella libertà durava poco, soffocata dal terrore di essere scoperta, di perdere tutto: affetti, amicizie, lavoro.
Il peso di quel segreto è diventato insostenibile. La paura si è trasformata in disperazione, e la depressione ha iniziato a sussurrarmi che non c'era via d'uscita, ma poi qualcosa è cambiato. Un piccolo, impercettibile movimento dentro di me, una scintilla di coraggio. Ho iniziato il mio percorso di affermazione di genere, superando da sola le mie paure più profonde.
Nel 2019 sono rinata. Il cammino non è stato facile, ma sapevo di non poter più tornare indietro. Con gli ormoni, le emozioni che avevo represso per anni sono esplose con un'intensità travolgente.
Ho imparato a vivere il momento, a lasciare andare il giudizio, a riconoscere e accogliere la bellezza delle relazioni autentiche.
Crescendo, mi era stato insegnato che la fragilità fosse un tratto dell'essere donna, qualcosa da temere, da nascondere.
Oggi tuttavia, so che è esattamente il contrario. La mia fragilità è diventata la mia forza più grande. Essere autentici, mostrarsi per ciò che si è davvero, è il dono più grande che possiamo farci.
Non recitate il ruolo che il mondo si aspetta da voi. Non lasciate che sia la paura a decidere chi siete.
Il mio è stato un percorso di rinascita, ma credo che ognuno, in qualche modo, possa rinascere, reinventarsi e vivere pienamente.

Le storie di tutti sono incredibili e c’è stata pure una sorpresa: uno dei testimonial arriva e mi saluta abbracciandomi. Al momento ho avuto un attimo di svarione, persona già vista, ma dove oltre che nei post Instagram?
Non capivo perché era così esuberante poi ho ricordato che siamo stati colleghi della azienda per cui lavoro per circa sei mesi. Non o ricordavo perché non ci eravamo mai visti di persona, ma solo in videocall durante il covid. Il digitale non aiuta proprio nei legami con le persone, è tutto freddo e impersonale, inoltre ho conosciuto un numero enorme di persone dalla mia rinascita e non sempre le ricordo tutte (ed è un peccato).
Mano a mano sono arrivati gli altri modelli fotografati ed è stato come trovarsi in famiglia, anche se ci eravamo mai visti prima. Il ragazzo sordo ha invitato anche degli amici: tutti sordi. E’ stato interessante guardarli e cercare di capire cosa si dicono. Alcuni scandiscono molto bene le parole mentre gesticolano e dopo un po’ riuscivo a capirli abbastanza. Dell’alfabeto della “lingua dei segni” conosco giusto come fare il mio nome, e dire ciao che però è più facile usare la manina.
Ho capito che spesso non guardiamo per davvero le altre persone, confidando sul sonoro, ma in questo caso occorre porre l’attenzione su tutti i partecipanti a un discorso, sia per i gesti che per il labiale. Si imparano sempre cose nuove e interessanti.

Con Cristina abbiamo affrontato l’argomento operazione di vaginoplastica. Le ho raccontato uno dei motivi che mi portano a volermi operare è che ho la libido a zero e non provo attrazione sessuale per nessuno. Dopo l’operazione non dovrò più prendere le pillole per distruggere il testosterone che mi azzerano la libido e tornerò ad avere interessi sessuali.
Mi ha detto che merito di innamorarmi e conoscere questo sentimento che ho sempre negato nel passato maschile. Mi ha toccata dentro al cuore.
Anche se fare sesso, non deve essere la ragione principale per operarmi (devo farlo per me stessa), la sessualità è importante per rendermi più completa.
C’era anche un piccolo rinfresco vegano, preparato da Cristina, che tra le sue attività, fa corsi sulla nutrizione e soprattutto per prevenire malattie. Tutto gustoso e mi sono mangiata quattro porzioni, mi ero portata da casa una piadina fredda che è rimasta nello zaino.
Le organizzatrici hanno fatto un discorso durato un paio di minuti e avevamo anche la traduttrice simultanea per i sordi, era un’amica del ragazzo, lei ci sente e stava studiando per fare da interprete.
Le 21:20 di sera, dopo che ero lì da due ore e sveglia dalla mattina, ho iniziato ad avere l’abiocco, sono partita col giro dei saluti, e di tanti abbracci per rivederci prossimamente. Sono arrivata a casa quasi alla mezzanotte, distrutta nel fisico e felice nello spirito.