Questo articolo avrebbe dovuto essere pubblicato lo scorso gennaio, su un sito di diversità & inclusione, ma purtroppo la redazione ha deciso per qualche mese di non trattare più l’argomento transgender e altri sull’inclusione, per concentrarsi su alcune tematiche specifiche. Non è stata una decisione facile, ma in questo periodo molte aziende, soprattutto le multinazionali, hanno chiuso i loro programmi di DE&I. L’aria che tira non è delle migliori.
Così ho deciso di pubblicare qui la mia versione di base (in genere con la redazione lo riscriviamo per adattarlo al tono del sito).
Durante una presentazione in ambito medico, una slide mi ha colpito per un termine che non avevo mai sentito: pressione di genere. Essa si manifesta attraverso le norme sociali che impongono comportamenti binari che permeano tutta la vita partendo dal sesso assegnato alla nascita.
Ci si aspetta che i bambini si comportino e vestano in specifici modi e colori, continuando in età adulta attraverso il giudizio sociale, la discriminazione e tanti altri fattori.
Per le persone transgender e non-binary, la “pressione di genere” assume un peso particolare, con conseguenze psicologiche dovendo vivere e interpretare la vita di un personaggio in cui non ci si riconosce.
A questa pressione si aggiunge la difficoltà di accettazione in contesti lavorativi, scolastici e familiari. Persino gli ambienti che si dichiarano inclusivi, possono cadere in atteggiamenti non consapevoli, richiedendo alle persone transgender di “provare” la loro identità, spesso in modi stereotipati. Questo può portare a un senso di alienazione e isolamento.
Quali sono le conseguenze psicologiche?
La pressione di genere può generare forti ricadute psicologiche e le persone transgender sono esposte a livelli più alti di stress cronico, ansia e depressione rispetto alla popolazione generale. La pressione si sente nel dovere conformarsi a standard di genere che non appartengono loro, prima del coming-out, ma anche per adeguarsi a genere di elezione in seguito all’avvenuta affermazione di genere.
Molte persone trans affrontano inoltre la cosiddetta “disforia sociale”, un disagio derivante dal modo in cui gli altri percepiscono e trattano la loro identità di genere. Quando questa condizione è amplificata da pressioni quotidiane, come l’uso sbagliato del pronome o l’invalidazione della propria identità, può avere un impatto profondo sul benessere psicologico mettendo in discussione il proprio essere.
In quali ambiti la pressione di genere è maggiore?
Numerosi studi scientifici citano la pressione di genere relativamente all’accesso ospedaliero (sorveglianza Passi 2017-2020, ISS) che viene evitato con conseguenze sullo stato di salute.
Altro ambito è quello scolastico dove gli studenti devono anche adeguarsi ai comportamenti dei compagni di scuola, a uniformarsi per evitare episodi di bullismo, discriminazione e abbandono sociale.
Nell’ambito lavorativo la pressione è sul dover dimostrare le proprie qualità per quella professione e gli stereotipi di genere in essa collegati. Moltissime professioni prevedono esclusivamente l’assunzione di uno genere specifico.
Un caso esemplare di carriera alias?
L’Università Bicocca di Milano è stato il primo ateneo italiano che dallo scorso ha attivato la carriera alias in maniera integrale. Solitamente si permette di essere chiamati con il nome di elezione durante l’appello e in attività sociali. Sebbene è un aiuto, non risolve lo stress dovuto alla pressione di genere e il dover spiegare comunque la propria identità trans in tanti ambiti.
Gli studenti spesso sentono la pressione del conformarsi alle norme di genere per evitare reazioni negative da parte dei pari (EIGE, 2016) e bullismo.
La versione integrale della carriera alias, invece, copre ogni aspetto del percorso degli studenti – ma anche del personale e dei docenti – incluso il nome sulla tesi. L’unica cosa che non comprende, per motivi legali, è il nome sulla laurea. Moltissimi studenti transgender, cercano di rettificare il loro nome prima della conclusione universitaria in quanto non sempre è possibile riuscire ad averla con la correzione nominativa.
Ci sono studi delle conseguenze?
Una ricerca recente (Reisner et. al 2015) ha riscontrato, che i giovani trans, avevano un rischio due o tre volte maggiore di depressione e disturbi d’ansia, rispetto ai coetanei cisgender. Secondo uno studio Australiano (Strauss et. al 2020) è emersa una diagnosi di ansia o depressione e molti di loro erano esposti a esperienze negative tra cui il bullismo (74,0%) e la discriminazione (68,9%). Quasi tutti i risultati negativi emersi sono associati a esperienze negative come problemi all’interno del contesto educativo.
Esistono delle normative in ambito lavorativo?
Per le grandi aziende e organizzazioni, esiste la certificazione UNI ISO 30415 Diversità ed Inclusione (D&I). Visto il costo elevato per ottenere la certificazione, nonché fare formazione alle risorse umane e il personale coinvolto nella gestione, in Italia sono davvero poche le aziende che applicano la D&I, oppure la applicano in parte come ad esempio per adeguarsi al recente UNI/PdR 125:2022 sistema di gestione per la parità di genere, che prevede l’adozione di specifici KPI inerenti alle Politiche di parità di genere nelle organizzazioni, ma non ha nessun riferimento alle persone trans. Sebbene cerchi di ridurre la disparità di genere, nella realtà aumenta la pressione di genere sulle persone trans a doversi adeguare a un’identità aziendale binaria.
Come promuovere un cambiamento inclusivo?
Esistono alcune normative, ma sono tutte con applicazione volontaria da parte di aziende, associazioni, enti governativi. Nell’ambito lavorativo, rispetto a quello scolastico, esiste una grande paura a far sapere ai colleghi il proprio orientamento sessuale, di genere e quant’altro che posso portare a non sentirsi adeguati alla pressione di quello specifico impiego. Ad esempio presso l’Università Bicocca la carriera alias è stata chiesta da circa 90 studenti nel primo anno, ma nessuno del personale universitario. Lo stesso accade in ambito sanitario dove le persone transgender chiedono un trasferimento dopo avere rettificato i documenti, in modo che nel nuovo ospedale, siano considerati nel nuovo genere senza dover subire la pressione di genere.
Non è con delle normative che si cambierà la società perché sia più aperta, inclusiva e con ridotta pressione di genere. Il cambio della società sta comunque avvenendo, ma senza divulgazione delle problematiche, richiederà molto più tempo, forse troppo.