Oggi sono andata a trovare la mia amica Diana, donna transgender in pensione, ex dottoressa, ex psicologa e insegnante di Judo per auto difesa delle donne.
Ogni volta torno a casa felice e con un grande mal di testa, ci raccontiamo troppe e cose, spesso seguire i suoi discorsi è impegnativo e si deve fare tanta attenzione per starle appresso (dati scientifici soprattutto).
E’ sempre tanto stimolante ricevere i suoi input e fornire i miei.
Tra i tanti discorsi è uscito quello di cui voglio scrivere oggi: l’accettazione da parte degli altri (società) quando ci omologhiamo a uno standard di genere.
E’ da poco iniziato il settimo anno di vita al femminile, ho riguardato alcune delle fotografie del mio primo giorno. Vedo un maschio in abiti femminili (a parte problemi a occultare la barba che anche se rasata, mostrava sempre l’alone scuro). Gli altri però vedevano una donna, almeno una specie.
Con Diana condividiamo la cosa che le donne trans dei primi anni duemila facevano una transizione da uomo a trans. Intendiamo nel loro modo di presentarsi e vestirsi, esagerato. Una via di mezzo tra una prostituta e una drag queen. Non ci identifichiamo con quel modello, cosa che ha ritardato anche il mio coming-out, non volevo essere associata a quel tipo di persona trans.
Forse anche per quel loro modo di essere, stavano sulle scatole a tutti inclusi omosessuali, lesbiche e cisgender… praticamente tutti gli altri.

La maggior parte delle persone trans di oggi cercano di diventare invisibili nella società, nel mio caso sarebbe di vivere come donna e non dire che sono trans. Come fare a non farsi “beccare”? A parte un discorso di ormoni che aiutano, è semplicemente il vestirsi e adeguarsi al genere di arrivo, nel mio caso femminile.
Possibile che sia così semplice?
Ci facciamo una quantità di menate, dubbi su quello che chiamiamo “passing” e che ci sembra di non fare mai abbastanza.
Torniamo alle mie foto di inizio percorso. Già alcuni giorni dopo ero più donna, avevo acquistato abiti “giusti”, cambiato parrucche per valorizzare il viso, imparato a fare un minimo di male-up, comunque sia, ero lontana anni luce da come sono adesso, eppure nella maggior parte dei casi mi trattavano come donna.
Mi sono sempre chiesta come fosse possibile, io non mi vedevo minimamente una donna, al più un travestito carino.
Diana è una psicologa e studia il cervello umano. Senza andare nei dettagli (ho ancora il mal di testa per metabolizzare tutto), se ti vesti e agisci nel genere che ti senti, e non fai eccessi che provocano reazioni istintive, gli altri fanno in fretta a considerarti donna. Non parlo di sessualità, l’argomento è l’accettazione e interazione.
Noi donne trans siamo le peggiori a giudicarci e giudicare le altre trans, come a fare una gara a chi è più avanti con la transizione. Alla maggior parte delle persone interessa poco chi siamo e cosa facciamo, l’importante è non essere una minaccia.
Un suo esempio è stata quando ha fatto l’insegnante di difesa personale, aveva ancora i documenti maschili, ma era già di aspetto femminile e anche se è stata presentata come “istruttore uomo”, le donne del corso l’hanno sempre trattata da donna. Anche per Diana sembrava una cosa strana. Ho visto le foto di vent’anni fa e ho visto sempre un donna, anche nelle foto di combattimento che erano mosse.
Non spiega proprio tutti i miei dubbi, ma è una buona base di partenza per comprendere le reazione umane che storicamente hanno sempre accettato popolazioni diverse, finché non ledevano gli affari commerciali locali. Altrimenti non si spiega la commistione di razze e provenienze diverse.
Che noi persone trans siamo il “nemico diverso” è una concezione molto recente, e solo politica, per certe fazioni che si considerano “il bene dell’umanità” e tutte le minoranze sono un pericolo.
In generale queste idee sono solo di persone di “destra” e nei paesi di religioni integraliste. A loro non interessa l’integrazione, miglioramento della società, il progresso; tutelano solo i propri interessi personali a discapito anche delle persone che li eleggono per ignoranza.
Da pochi giorni è passato in Italia un disegno legge – studiato da due anni – per impedire ai ragazzi trans minorenni di accedere a qualsiasi tipo di terapia (poi c’è anche un’altro DDL che proibisce l’educazione affettiva nelle scuole…assurdo). Non la proibisce, ma aggiunge una burocrazia e un comitato nazionale decisionale che, praticamente, quando saranno maggiorenni, forse riceveranno l’approvazione. Poi il comitato è composto da persone contrarie e nemiche di noi trans, il che è tutto dire.
La mia domanda è: spendere tanti soldi ed energia per “tutelare” un centinaio di ragazzi?
Ignorando qualsiasi documentazione scientifica e qualsiasi parere autorevole – oddio, siamo vicini a tornare alla concezione che la terra è piatta?
E’ solo un manifesto politico e secondo me, alla maggior parte dei loro elettori, non frega nulla.
Speriamo bene nel futuro, c’è un’aria che tira molto male a livello mondiale, siamo un facile bersaglio e un numero esiguo di persone “esposte nell’attivismo” per riuscire a combattere certe ideologie in parlamento.
Veronica “Ammirevole la tua forza e la determinazione, soprattutto per aver avuto il coraggio di essere semplicemente te stessa…pround of you”
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