“Sedici persone fra transgender e non-binary sono protagoniste del nuovo progetto fotografico di RI-SCATTI dal titolo Chiamami col mio nome. Una mostra, in programma dal 7 ottobre al 5 novembre, ideata e organizzata dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e da Ri-scatti ODV – l’associazione di volontariato che dal 2014 realizza progetti di riscatto sociale attraverso la fotografia – e promossa dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s. L’edizione di quest’anno, la nona, è realizzata in collaborazione con l’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e l’Associazione ALA Milano.
“
L’esposizione, a cura del conservatore del PAC Diego Sileo, si propone di raccontare storie vere, alcune volte amare, altre gioiose, ma assolutamente frutto di una libera espressione. Più di trecento fotografie mettono in luce le identità delle persone trans e il loro sofferto percorso di transizione, accendendo i riflettori sulle difficoltà nel riconoscersi prima ancora che farsi riconoscere e accettare dalla propria famiglia, dai propri amici, dalle istituzioni e dalla società. Ancora oggi l’Italia risulta al primo posto in Europa per numero di episodi di transfobia: molte sono le violenze e i soprusi, a causa di ragioni sociali e culturali, che le persone trans vivono durante la propria esistenza.
Gli scatti in mostra al PAC sono quelli di Alba Galliani, Antonia Monopoli, Bianca Iula, Elisa Cavallo, Fede, Ian Alieno, Lionel Yongkol Espino, Logan Andrea Ferrucci, Louise Celada, Manuela Verde, Marcella Guanyin, Mari, Nico, Nico Guglielmo, Riccardo Ciardo, Seiko. Dopo aver seguito un percorso formativo supervisionato come sempre da fotografi professionisti, volontari di Ri-scatti, tuttə hanno trovato la forza e il coraggio di raccontarsi con la macchina fotografica in mano, di mostrarsi con le loro fragilità e insicurezze, riconoscendo e utilizzando la diffusione della conoscenza come prima arma di difesa contro la transfobia. La corretta informazione e il contatto con persone che pensiamo lontane, ma che semplicemente non conosciamo, può̀ infatti aiutarci a rivedere le nostre posizioni e, più̀ semplicemente, a comprendere.
Con un’offerta per gli scatti in mostra si potrà contribuire a sostenere l’operato dell’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e dell’Associazione ALA Milano.

Dopo aver fatto l’allenamento di danza caraibica al mattino, sono tornata a casa, ho dormito un po’ e poi sono ritornata a Milano con il treno per assistere all’inaugurazione della mostra, alla quale sono presenti anche le mie fotografie.

Nei giorni scorsi avevo ricevuto la bozza in PDF del catalogo e avevo visto quali fotografie avevano scelto tra le 1100 che avevo consegnato. Ho notato alcune immagini che forse non avrei inserito, sono molto oscure e non rappresentano la persona solare e vivace che sono. Durante la settimana c’è stato anche un nutrito scambio di email con i curatori della mostra e coloro che hanno scritto i testi di presentazione. Avevano inserito dei termini non corretti e avevano dato un tono negativo alla transizione (pietista), mentre noi avevamo insistito per mesi sul fatto che il messaggio doveva essere positivo.
Sono entrata alla mostra un poco prevenuta e ho iniziato a guardare le prime fotografie all’ingresso; la disposizione non era poi così male. Ho visitato la seconda e poi la terza sala, poi ho guardato intorno cercando di capire dove fossero le mie fotografie. C’era una stanza buia dove proiettavano quei video contemporaneamente con una traccia audio non sincronizzata con le nostre voci nell’intervista che avevamo fatto la settimana scorsa. Oggi è una giornata estremamente calda, quindi, sono uscita e vedrò i video più tardi in maniera completa.

Nel frattempo, ho incrociato alcuni dei fotografi che erano anche i curatori della mostra e ho detto loro che il risultato era migliore di come me lo ero immaginato. Ora dovevo solo vedere dove erano esposte le mie fotografie. Mi hanno detto che erano al piano di sopra, così sono salita sulla scala. C’era un primo corrimano pieno di fotografie e nello stesso corridoio c’era un altro ingresso nella sala dietro. Ho notato che non era così immediato capire che la mostra continuava in quella direzione, anche perché c’erano due altre piccole mostre laterali. Più tardi, dirò loro di mettere una freccia o un cartello per far capire che la mostra prosegue anche in quella direzione, dato che alcune persone coinvolte nella mostra non avevano visto la mia stanza.

Sono entrata in quella che ormai posso definire scherzosamente la “camera Bianca”, dove le pareti ospitavano le mie fotografie. Di fronte sull’altro lato c’erano altre foto, ma in fondo alla sala c’era un gigantesco monitor che trasmetteva i video che avevo preparato, video divulgativi. L’unico problema era che tutti i video erano trasmessi di fila e duravano 20 minuti in totale. Mi avevano detto che avrebbero messo cinque monitor più piccoli con cinque cuffie in modo che ognuno potesse ascoltare solo un tema alla volta, ma forse in fase di allestimento non era fattibile.
Ho valutato le mie fotografie e anche quelle che sembravano oscure e negative, ma viste stampate dal vivo con il muro bianco di contorno, non sembravano poi così tristi. Sono scesa e ho parlato con alcune persone, anche alcune trans che ho conosciuto oggi, metà di esse non so chi siano. Il corso si componeva di due giornate, e loro erano quell* del lunedì sera.

La mostra poco dopo l’apertura ufficiale si è riempita parecchio e è stato fatto il discorso di inaugurazione, ma come immaginavo, il sindaco poi non è venuto. C’erano anche vari fotografi e alcuni giornalisti, ma non sono stata intervistata per rispondere alle domande, mentre hanno intervistato alcune persone visibilmente trans all’inizio della loro transizione, ma io e altre persone con una transizione leggermente più avanzata non abbiamo ricevuto attenzioni.

Ogni tanto tornavo al piano di sopra per vedere se c’erano persone nella mia stanza e osservare le espressioni dei loro volti mentre guardavano le fotografie. In totale c’erano 300 fotografie da vedere, secondo me anche troppe, e la maggior parte delle persone camminava distrattamente, soffermandosi solo su alcune. Sono tornata nella stanza di proiezione e c’era l’audio della mia registrazione sullo schermo, oltre a un dettaglio delle mani che non erano le mie, sull’altra parte del mio corpo in movimento, e anche il viso molto ravvicinato, troppo ravvicinato. Con queste videocamere ti riprendono anche i pori della pelle e tutte le imperfezioni. Quel giorno ero andata a fare la ripresa direttamente dopo la lezione di danza e non avevo rifatto il trucco. Devo dire che in queste riprese si vede, e ci vedo anche qualcosa nel viso che non mi piace ancora, troppo maschile.

Ho preso la mia copia gratuita del catalogo, noi autori ne abbiamo diritto a una copia, e dopo due ore girovagando per la mostra, ho salutato e sono rientrata a casa molto stanca. All’inizio non provavo nessuna emozione, ma dopo i discorsi di presentazione e l’afflusso di gente ho iniziato a emozionarmi. È stato soprattutto vedere tutta questa gente che non conoscevo osservare le fotografie, solo allora ho provato l’emozione di aver contribuito a qualcosa di importante. Stiamo mostrando al mondo le persone trans per come siamo: persone. Nel mese di durata della mostra dovrò portare alcuni gruppi e raccontare loro alcune cose, ma conosco troppe persone e dovrei stare lì tutte le sere. Così ho mandato molti messaggi e postato sui social i dati e gli orari in modo che andassero direttamente. Mi piacerebbe sapere poi da alcuni di loro i loro pensieri e opinioni.

Psicologa Bellini “MI SEMBRA DI CONOSCERLA...
“
Forse non tutti sanno che prima di diventare Bianca, si faceva chiamare invertendo il nome con il cognome. E in fondo alla memoria affettuosa dei ricordi, per me resta sempre un po’ “La Iula”.
In mezzo al mare magnum delle richieste di ri assegnazione di genere, frutto anche un clima liberticida, Bianca è una delle rarissime disforie di genere che ho sostenuto a gran voce. Un privilegio stupendo esplorare un interiorità delicata e cangiante come la sua, fatta di disincanto, solitudine, scoperta, soprattutto di coraggio. Il coraggio di cambiare, di affrontare le innumerevoli difficoltà che si insinuano dentro un percorso come questo, per cercare la pace con se stessi, gli altri, il mondo.
Oggi Bianca è una donna affermata, una divulgatrice internazionale di tematiche transgender, collabora con enti pubblici e privati, è tra gli autori di un importante documento medico sulla prevenzione del cancro e le persone trans. Era, è e resta, una persona di rara intelligenza.

Paola T.“Bravissima. Ho visto tante tue interviste sull'Instagram del Pac , Pazzesca
”
Sara S,”Orgogliosissime di te!
”
Elena R.”Ciao Bianca, complimenti, vedo che stai facendo grandi cose, hai tutta la mia ammirazione e cercherò di non perdermi la mostra al PAC!
”

La Stampa “La vita è appena cominciata. Di nuovo. Solo che questa volta è migliore! È bello essere donna” di Bianca Lula, che dietro il lungo titolo svela questa confessione durata tre mesi: «Mi sono dovuta guardare dentro l’anima per comprendere meglio chi sono, che cosa voglio si veda di me e senza filtri né ipocrisie
“.

Questa immagine mi ripaga tutto il lavoro di volontariato…una ragazzina ascolta e vede il mio video che racconta la transizione e/o affermazione di genere: coming-out, terapia ormonale sostitutiva, iter legale cambio nome, sessualità e logopedia per cambiare la voce.
Carla “Eccezionale mostra fotografica su persone transgender e non-binary e il loro sofferto percorso di transizione. Più di 300 foto e due interessantissimi video ci narrano le loro storie.
“
Grazie Bianca ! Hai fatto un grande lavoro, soprattutto nelle clip al piano di sopra, in cui parli solo tu e ci dai preziose, precise e dettagliate informazioni su tutti i passaggi della vostra esperienza e incredibile transizione. Un documento importantissimo che cancella la distanza che sempre purtroppo si crea con le persone che vivono un’esperienza certamente non comune. Grazie!! Sono stata orgogliosa di aver vissuto un po’ la tua storia.
Consiglio a tutti di andare a vedere la mostra, in cui c’era un pubblico decisamente numeroso.