Finalmente siamo arrivate a Provaglio di Iseo, abbiamo fatto l’iscrizione all’evento annuale che dura due giorni dello “Psicodramma a più voci”. Il tema di quest’anno è: Futuro. Mi libero di ogni pensiero e cerco di godermi il tutto.
Andiamo subito alla parete dove sono stati appesi dei poster con i vari workshop. Ce ne sono due oggi pomeriggio e altri due domani mattina, quindi si deve scegliere a quale partecipare. Rispetto alle altre edizioni ci sono meno partecipanti e meno conduttori (che gestiscono il laboratorio) per cui alcuni eventi sono stati cancellati, tra cui quello che avrebbe dovuto gestirlo un prete a cui ero interessata. Poi scopro che c’era in programma un altro all’uso della voce e peccato che anche questo non c’è più.
In macchina mentre viaggiavamo, Barbara mi aveva accennato ad alcune di queste attività, nel metro mi ero segnata sul telefono (l’app delle note mi è indispensabile) quelli a cui mi sarebbe piaciuto partecipare. Ma soprattutto essendo la mia prima volta assoluta e non sapendo quello che sarebbe successo, avevo scelto ogni laboratorio una tipologia diversa per vedere i vari aspetti dello psicodramma.
Siamo venute un’ora prima dell’inizio per poterci iscrivere alle attività. Alcune sono a numero chiuso e se arrivi tardi rimani fuori. Nel frattempo arriva a parecchia gente e Barbara saluta alcune persone presentandomi a loro. Con altre due donne usciamo e andiamo in un bar vicino a fare una piccola colazione e comprare una bottiglietta d’acqua.
Tornate dentro la palestra ci sediamo sui gradini degli spalti in attesa che inizi la seduta plenaria. E dopo i saluti rituali da parte degli organizzatori iniziamo subito a qualcosa di fisico. Vengono invitate le persone nuove a fare un passo avanti e quindi le altre persone che hanno già fatto degli eventi di psicodramma iniziano a camminare nel cerchio esterno salutando i nuovi arrivati. È stata davvero una cosa particolare perché è come se mi avessero dato il benvenuto uno per uno.
Dopo questi saluti abbiamo iniziato a fare qualche attività nella palestra, muovendoci lentamente nello spazio, incrociando gli sguardi degli altri partecipanti, muovendoci sentendo parti del corpo e altre cose. Ci siamo anche salutati toccandoci con un dito, una mano, con le chiappe. Eliminare le distanze tra noi aiuta a sentirsi parte di un gruppo, seppur numeroso.
Siamo stati divisi in cinque gruppi, dove ognuno ha raccontato agli altri come si sente in questo periodo. Abbiamo dovuto votare qual era la storia e la persona che ci ha più colpiti ed stata scelta quella dove la persona che si sentiva come la vignetta delle settimane enigmistica dove devi unire i puntini per formare una figura. Abbiamo ideato questa cosa: ci siamo posizionati nello spazio e rimanere immobili. Lei doveva spostarci e muoverci le braccia per fare toccare altre persone in modo che avremmo creato una qualche figura connessa. Quando ci ha uniti tutti era come se fossimo stati i suoi aspetti e pensieri con le braccia che erano le line che le avrebbero unito i puntini (noi).
Ogni gruppo ha presentato agli altri la sua scena posizionandosi al centro della palestra. Le rappresentazioni sono state tutte molto interessanti. Quando è quasi toccato a noi, mi è venuta un’idea che però non poteva essere usata in quanto era troppo teatrale. Avevo suggerito che nel momento in cui ci collegava ognuno avrebbe detto una frase della sua di storia unendo le storie, ma lo psicodramma si rivolge ad un solo protagonista. Però la mia idea è piaciuta e l’abbiamo elaborata in fretta dove ogni persona collegata avrebbe detto una frase oppure emesso un suono relativo a qualche emozione.
Siamo andati al centro della palestra e messo in scena questa rappresentazione. In ogni rappresentazione c’è stato un applauso al termine, ma non era per premiare gli attori oppure l’idea, ma l’importante era che al protagonista della messa in scena, gli aveva smosso qualcosa dentro. Nel farla mi sono divertita parecchio, soprattutto perché è un’attività molto fisica e ti mette in relazione con le altre persone e toccandole, abbattendo la barriera della distanza del toccarci che abbiamo sempre con gli altri. Nota: ho visto un documentario dove spiegava perché alcune culture orientali come l’India non ci si tocca mai: per non trasmettere malattie. Da noi in Europa c’è un igiene superiore, ma ci siamo portati anche noi queste “precauzioni” e usanze.
Questa introduzione è stata giusto per dare un esempio di che cosa sono andata a fare, cosa è successo nelle singole sessioni sono cose molto private e devono rimanere nella stanza. Qui accennerò in linea di massima senza fornire dettagli di privacy.
Cosa è lo psicodramma?.
Non ho voluto sapere in anticipo quasi nulla su questo “psicodramma a più voci” fidandomi della mia amica Barbara. Lei è anni che partecipa a questo evento che di solito si svolgeva a febbraio, mentre quest’anno causa lockdown, è stato rimandato in questi giorni. Ho fatto bene a non documentarmi perché mi è rimasta la meraviglia di scoprire una cosa davvero nuova e davvero peculiare, che può aiutare parecchie persone in svariati ambiti della vita. Mentre quando vai da uno psicologo racconti qualcosa e la tua mente cerca di elaborarla, ma spesso mentendo a se stessa, qui viene fatta una rappresentazione in forma teatrale astratta della situazione e di te stess*. L’impatto visivo è notevole perché “ti vedi da fuori” e vedi gli altri come ti vedono. Non c’è nessuna esibizione attoriale e nessuna forma di improvvisazione istrionica e teatrale, ma viene rappresentata la realtà vista e compresa da chi sta ascoltando in sala il racconto.
Lo psicodramma è una tecnica psicologica di enorme aiuto, sviluppata nel secolo scorso negli Stati Uniti dal Dottor Moreno. Ci si siede in cerchio e viene gestita un Conduttore, che è una persona che ha studiato la tecnica e dato gli esami di abilitazione. Perché è a tutti gli effetti una metodologia di psicologia e per gestire “una rappresentazione” si deve essere esperti perché si rischiano di fare dei danni alle persone che vengono coinvolte in quanto tirano fuori dal proprio inconscio una serie di cose private e personali. Mentre per partecipare lo può fare chiunque anche senza aver studiato, infatti eravamo un centinaio di persone e solo la metà erano psicologi, oppure persone in attività di counseling dove usano abitualmente lo psicodramma. C’erano anche degli studenti.
Né io e neppure la mia amica Barbara siamo qui per imparare a fare le conduttrici, ma siamo qui per fare delle esperienze di gruppo e che magari ci fanno risuonare qualcosa dentro di noi.
Ogni gruppo è composto da una ventina di persone al massimo. Il conduttore all’inizio fa una serie di banali domande ai presenti che dicono il loro nome e raccontano qualcosa di personale e di solito una di queste persone tira fuori una qualche forma di problema. Il Conduttore deve essere bravo a selezionare la persona. In alcuni casi viene fatta fare una specie di votazione tra i partecipanti su quale storia fare puntare la sessione. La votazione non avviene per alzata di mano, ma per contatto fisico alzandoci e mettendo una mano sulla persona che si vuole scegliere.
Con alcune altre sapienti domande il conduttore mette in scena la rappresentazione, invitando il protagonista a iniziare a raccontare il suo problema e i suoi dubbi.
Possono venire scelti tra i partecipanti alcune figure come l’alter ego (il doppio), magari una versione bambina oppure una versione più adulta, e altre figure simboliche (la scuola, il tuo capo, la mamma, etc.).
Ogni tanto viene fatto scambiare il protagonista con il suo doppio, oppure con gli altri personaggi in scena e fatti interagire.
Anche semplicemente osservando come pubblico vengono fatte risuonare delle cose inconsce e che quindi l’effetto terapeutico coinvolge tutti nella stanza.
Non è spiegabile facilmente senza averci partecipato e se non avete capito non fa niente.
Il fatto di non essere scelti, in due ore di sessione solitamente viene scelto un solo protagonista, non è comunque un problema anche se il mio esibizionismi del tipo “scegli me” mi porta a cercare di espormi. Ma in realtà i miei problemi più grandi li ho risolti.
Nel rappresentare una storia in cui il protagonista è una persona gay, che ha raccontato di quando era bambino e che doveva tenersi segreta questa cosa. Pensava che fosse l’unico al mondo a cui piacevano gli altri bambini. Nel suo racconto del tenersi dentro per anni un segreto sul proprio vero essere, qualcosa ha iniziato a toccarmi dentro. Anch’io mi sono tenuta dentro questa cosa, ma per troppo tempo: quasi quarant’anni. Nel vedere la scena ho cominciato prima a commuovermi e poi ho pianto parecchio, a tal punto che la conduttrice è venuta mi ha dato una carezza sulla testa. Tra le persone scelte per aiutare la rappresentazione c’è stato anche un coming-out di un ragazzo gay! Al termine della rappresentazione, il cui tema era virato sul perdono i genitori, nella stanza c’erano cinque persone LGBT+ dichiarate!
Solitamente non dico più che sono una persona trans, ma in questo caso mi sembrato appropriato raccontare chi sono davvero. L’ho fatto pure in un altro workshop il giorno dopo. Nonostante mi sembra spesso di essere molto femminile, quando riguardo alcune fotografie mi vedo ancora con alcuni tratti maschili e mi chiedo sempre se le persone nuove capiscano questa cosa. In questi casi di dichiarazione ho visto delle espressioni dubbiose del tipo: “Ma va? Non l’avevano capito”. Ho lasciato loro un messaggio positivo e molte di queste persone nel salutarmi l’ultimo giorno sono venute ad abbracciarmi con sguardi sinceri scambiandoci auguri reciproci.
Finito il workshop alla sera abbiamo salutato un po’ di persone (anche io che ho iniziato a conoscere e farmi conoscere) e tornate in auto ci siamo dirette all’Bed & Breakfast dove avevamo prenotato. Una cascina ristrutturata dove Barbara negli anni scorsi era andata spesso e si ricorda delle colazioni fantastiche.
In effetti è un bel posto per avere una base, ma non per viverci di giorno in quanto si trova a fianco una strada statale e c’è pure anche la ferrovia. Per fortuna le camere avevano i vetri insonorizzati e di sera poco traffico e niente treni. Lasciati i bagagli e dopo esserci date una veloce rinfrescata siamo andate in centro ad Iseo, dove abbiamo scelto una pizzeria e siamo rimaste circa due ore a parlare.
Oggi era il compleanno di Barbara, che lei solitamente non festeggia, ma oggi aveva deciso di farlo e ha ricevuto una quantità incredibile di messaggi sui social e voleva rispondere a tutti. Ci siamo accorte che sembravamo due ragazzine sedute allo stesso tavolo e ognuna guardava il suo smartphone… il cameriere quando gli abbiamo detto che era il compleanno ha offerto due limoncelli, in quantità esagerata che poi ce ne regalati altri due dopo il dolce. Alcool unito alle birre, quando abbiamo terminato la cena eravamo abbastanza ubriache a tal punto che ho guidato io. Le donne non hanno un gene che le aiuta a smaltire l’alcool, mentre io avendo una biologia maschile non ne avevo risentito più di tanto. Almeno non così tanto che non potessi guidare.
Tornate al Bed & Breakfast ci siamo fatte una doccia, ma prima che toccasse a me mi è venuta questa cosa di mostrare il mio seno a Barbara. Tra noi c’è una vera amicizia, penso sia un amore senza nessuna attrazione sessuale che ci possa distrarre. Quindi per me era il mostrarle i miei progressi senza dover ricevere per forza commenti positivi in cambio. Lei è rimasta impressionata dalla dimensione (coppa B) dato che sette mesi fa quando abbiamo fatto un’altra vacanza insieme le mie tette erano praticamente inesistenti. Mi ha chiesto se mi davano fastidio e ho risposto che” tirano nei giorni in cui stanno crescendo””. Come al solito molte donne che le hanno abbastanza grandi le vorrebbero più piccole, mentre il mio caso non vedo l’ora che crescano.
Siamo rimaste quaranta minuti a parlare nel giardino vicino alla piscina. Mi ha fatto vedere alcuni video del suo ultimo spettacolo di improvvisazione teatrale (Impro) e poi mi ha fatto una specie di riassunto delle sensazioni e delle cose che abbiamo fatto oggi al workshop. Ad un tratto ci siamo accorte che era quasi mezzanotte e siamo andate su in camera a dormire. È la prima volta nella mia vita che dormo in un letto con una donna. Per fortuna non ho avuto nessuna erezione, in parte perché la pillola che prendo abbassa la libido e poi perché siamo davvero amiche e non voglio rovinare nulla, ma il ‘pendolo’ ha dimostrato negli anni di avere delle sue iniziative.
Riuscirò a riposare, ma non a dormire bene, perché mi succede sempre ogni volta che sono in un letto nuovo. Inoltre Barbara si muove parecchio nel sonno ed eravamo rimaste d’accordo che se mi avrebbe dato qualche colpo con le braccia girandosi, avrei dovuto svegliarla e lei si sarebbe accomodata sul lettino di servizio, che non era poi così comodo. Per fortuna non mi ha colpito.