Tempo fa ho fatto un workshop online con la mia amica Maia, fotografa professionista. Leggi il blog con i tre articoli che descrivono l’attività. Ora sta facendo delle mini sessioni “in persona” con alcuni dei partecipanti facendo fare loro degli esercizi. Ci siamo date appuntamento in Piazza Duomo che oggi è super affollata di turisti. Dopo che ci siamo salutate e parlato un po’ in un bar dove mi ha spiegato l’esercizio.
L’esercizio che andremo a fare, di cui praticamente sono all’oscuro perché pensavo che avessimo fatto un qualcosa di gruppo, invece sta prendendo determinate persone uno alla volta sperimentando questa sua idea di ritratto fotografico e diario visuale.
Avevo chiesto se serviva che portassi la mia macchina fotografica semi-professionale, ma basta il mio cellulare. Devo scattare io delle fotografie, non sono la modella.
Devo scegliere il titolo del tema e questa è una cosa veramente difficile. Mentre chiacchieriamo la mia mente pensa cercando una soluzione al titolo. Alla fine ho scelto è ed: Meraviglie. In parte condizionato dal titolo di una graphic novel di supereroi (Marvels) che ho terminato di rileggere l’altro giorno.
La cosa peculiare è che mi chiede se me la sento di essere guidata in mezzo alla folla camminando occhi chiusi. Proprio venti giorni fa nella lezione di DYP abbiamo fatto un breve pezzo di danza, dove una delle due ragazze ballava a occhi chiusi e l’altra, con dei colpetti, le indicava la direzione e l’aiutava. E’ quindi anche un esercizio di dare fiducia, totalmente. Tra l’altro non mi passa nemmeno per la testa di apparire strana e attirare sguardi delle persone in piazza che mi vedranno camminare come se fossi una non vedente.
Usciamo e mi prende per mano, chiudo gli occhi e ci avviamo, ogni tanti sento dei tocchi della sua mano e cerco di seguire la direzione. Abbiamo preso un lato della piazza Duomo dove ci sono meno persone, ma è comunque molto affollata. Mi si acquisisce l’udito, ascolto parti di discorsi e soprattutto sento sfrecciarmi dannatamente vicino un monopattino, quelli si che mi fanno paura e poi sono a campi chiusi.
Ora sento stringere con coi colpetti, era il segno convenuto che indica quando avrei dovuto aprire gli occhi e osservare. Devo dire una parola relativa a quello che ho di fronte vedendo oppure sentendo. Di fronte a me c’è una massa di gente che sta facendo la fila per entrare dentro il Duomo e non vedo nulla di interessante. Sento il vento sulla mia faccia e quindi la mia prima parola è: vento.
Chiudo di nuovo gli occhi e lei mi guida facendomi fare dei giri in cerchio, forse per cercare di depistarmi, ma io ho una fantastica percezione spaziale e dato che sono stata qui anche venti minuti mentre l’aspettavo, so perfettamente dove mi trovo. Mi stupisce però tirandomi verso il basso e mi inginocchio. Apro gli occhi di fronte a me c’è un tombino dalla forma particolare e mi vengono in mente due cose: il sole e una faccia buffa.
Riprendiamo la camminata e a un certo punto urto contro una transenna e ci fermiamo. Quello che vedo sono delle persone in attesa di salire sull’ascensore per arrivare in cima al Duomo. Riprendiamo la camminata e a un certo punto urto contro una transenna e ci fermiamo. Quello che vedo sono delle persone in attesa di salire sull’ascensore per arrivare in cima al Duomo. Attesa.
Ora siamo in una zona davvero affollata, è il viale che unisce Piazza Duomo con Piazza San Babila, riusciamo non scontrarci con nessuno e forse la gente ci ignora pure dato che in precedenza ho visto che c’è gente abbigliata di tutti i tipi e più avanti ci sono ballerini e dei musicisti di strada.
Apro gli occhi e di fronte a me c’è una famiglia dove il padre trascina la valigia, la mamma sta in mezzo e a lato c’è una bambina vestita da ballerina con il tulle rosa. Bimba rosa.
Camminiamo per poco, salendo anche un gradino e ci fermiamo subito, apro gli occhi e di fronte a una delle fontane di Milano, soprannominate il drago verde in quanto il rubinetto ha la forma di un drago: acqua e verde.
E’ stato stranissimo camminare in mezzo alla folla ad occhi chiusi, avere totale fiducia di Maia. Dentro di me ero serena e in quei momenti non mi interessava se gli altri vedessero anche il mio aspetto di donna trans, le occhiaie che pensavo di avere e quant’altro ti auto-giudichi nella vita.
Le mia parole chiave sono: Vento, Faccia buffa, Attesa, Bimba Rosa, Acqua.
Ora arriva la parte fotografica dell’esercizio.
Facciamo il percorso inverso delle cinque fermate, devo pensare alla parola che avevo detto e cercare di fotografare qualcosa che la ricordi, ma non in maniera didascalica. Questa è davvero una cosa difficile condizionati come siamo.
Iniziamo dalla fontana, non mi viene in mente nulla di particolare da fotografare, esteticamente è davvero poco fotogenica. Cerco di ragionare con il “pensiero laterale“, al di fuori degli schemi. Penso che mi sono servite le serate delle conversazioni del sabato e sui tanti argomenti diversi riguardanti la mente. Mi avvicino con il telefono proprio quasi contro l’acqua e faccio uno scatto. E’ leggermente fuori fuoco e non dalla sensazione di acqua e freschezza. Maia mi dice che non devo ragionare con gli occhi, ma con quello che sento dentro e che ho sentito prima.
Arriva un signore che riempie una bottiglietta di plastica e mi dice di fotografare adesso. Faccio lo stesso scatto ravvicinato e quando guardo la fotografia sono la prima stupirmi. Bellissima e osservandola senti la freschezza dell’acqua, tra l’altro è perfettamente a fuoco le bolle d’acqua.
Per il secondo scatto abbiamo un problema perché la bimba rosa ovviamente è andata via. Mi aiuta a ragionare su che cosa avevo visto e la cosa che mi aveva colpito è che la bimba era fuori luogo rispetto agli altri, soprattutto per i colori vistosi dell’abitino. Devo cercare qualcosa intorno a me che mi faccia la stessa sensazione. Non so bene cosa fotografare e in un primo momento la folla mi sembra uniforme e poco interessante per una fotografia. Vedo passare una signora araba, vestita di rosa, con il velo con una borsa di una nota marca di abiti. Ecco l’elemento fuori posto: c’è un contrasto tra la folla, la religione della donna e l’alta moda. Faccio uno scatto e anche questo racconta qualcosa.
Torniamo alle transenne per fare la foto dell’attesa. Vorrei fotografare le guardie che sono all’ingresso, ma ho paura che ci facciano delle menate e poi sarebbero davvero didascaliche. Cerco di concentrarmi sulle altre persone in attesa e vedo una coppia di turisti giapponesi, dove lui sta parlando con la guardia e lei è più sotto in attesa con posa tipica femminile e giapponese. Faccio lo scatto, ma non fa bene. Maia mi sta facendo cancellare subito dal telefono le fotografie scartate, devo imparare a sceglierle e non conservare tutto. In realtà rimarranno trenta giorni nella memoria del cloud, ma cercherò di ignorarle. Osservando meglio più a destra c’è un bambino di profilo che sta aspettando qualcuno e faccio lo scatto. Non ne sono completamente soddisfatta, ma comunque è una fotografia che racconta qualcosa.
Ritorniamo al tombino e la faccia buffa mi ricorda i giochi di bambini, quindi la fotografia deve avere qualche elemento giocoso. Faccio qualche scatto che non racconta assolutamente nulla, allora penso di aggiungere la mia mano che faccia un qualche gesto. Ne provo diversi senza che vadano bene. Ad un tratto noto che alcune dita sono posizionate allo stesso modo dei fori. Maia mi dice di ruotare la mano e non far vedere lo smalto, ha ragione perché non devo essere una signora ma una bambina. Dopo qualche scatto di prova riesco a fare una fotografia giocosa con le dita che seguono i fori del tombino.
Torniamo al punto iniziale che è quello veramente più difficile, mi chiedo “come fotografo il vento?”” Inoltre quella parte della piazza si è svuotata e non c’è assolutamente niente che ondeggia o signore con i capelli che svolazzano (tema didascalico). Mai mi fornisce un paio di suggerimenti facendomi notare che ci sono dei residui da fast-food in un angolo. Prima c’erano dei ragazzi che ascoltavano la musica e dovrebbero imparare un po’ di educazione civica e pulire alla fine. Tra l’altro lì vicino c’erano anche un sacco di guardie armate di carabinieri, ma nessuno ha detto loro nulla. Gli oggetti sono sparpagliati per terra come se il vento li avesse dispersi, ma dopo aver provato qualche scatto ho deciso che non vanno bene, non mi dicono assolutamente nulla sul vento.
Penso allora agli striscioni appesi sopra l’ingresso del palazzo che stanno ondeggiando al vento. Maia però mi dice di concentrarmi sulla corda che li tiene legati e una arriva all’altezza viso legata ad una inferriata. Dopo qualche scatto ne conservo uno dove la corda in realtà è molto sfocata, è in primissimo piano e che dà comunque l’idea di una qualche forma di movimento del vento. Questo è anche il pensiero laterale di non mostrare cose ovvie, ma di farci capire lo stesso cosa volevi fotografare.
Barbara “Stupendo, stupendissimo. E le foto non solo sono meravigliose, ma trasmettono 1000 emozioni, più di tutte le parole che hai scritto.Esperienza invidiabile
“
Lele “Bellissimo! Un esercizio fantastico! L’ispirazione vera!
”
Ci salutiamo facendoci un autoscatto, questa volta in maniera più da amiche, mica sempre dobbiamo fare cose artistiche!.
Il giorno dopo farò una camminata nella campagna intorno casa, abito in provincia. Mentre camminerò inizierò a osservare meglio cosa ho intorno. Ho provato a fare alcuni scatti pensando a quanto appena appreso, non ho ragionato molto, stavo camminando e facendo attività sportiva, ma mi è servito e qualche fotografia la ritengo interessante e giocosa. Il tema: camminata in provincia.
Nota che l’ordine con cui si guardano le foto non è importante, cambiando l’ordine non cambia la storia.