Guglielmo da mail ai volontari:
“Grazie di cuore per la tua partecipazione attiva, sarà fondamentale per far funzionare al meglio il TDoR di quest'anno, che è diverso da tutti quelli precedenti.
“
Sono stanca morta e oggi ho rischiato il congelamento dei piedi, ma sono felice di quello che ho fatto e delle persone che ho incontrato. Oggi c’è stato il TDoR e oltre a far parte dell’organizzazione, cosa di cui sono abituata dopo aver lavorato 18 anni nei congressi medici e eventi vari, questa volta ho aperto l’evento con un discorso. Per me è stata un’altra prima volta il non dover seguire l’organizzazione, il programma, gestire apparecchiature. Negli eventi medici ero maschio e tecnico, quindi di quelli che arrivano molto prima, montano tutto e coordinano i tecnici, assistono “invisibili” all’evento e poi smontano tutto. Il dover arrivare e essere pronta “solo” per la mia parte è stata una cosa che mi ha dato l’idea di non aver poi fatto molto.
Guglielmo ha gestito l’organizzazione coordinando varie associazioni riunite nel Comitato Arcobaleno e cosa non facile ha portato l’evento ad avere un impatto visivo e mediatico davvero nuovo. Terminato l’evento dovremo riuscire a portare il messaggio al di fuori dei presenti che non erano pochi e di cui almeno un centinaio di persone trans e non binarie.
La giornata è iniziata con molta calma, facendomi un po’ di coccole con la doccia (scrub, creme varie), ma scoprendo che ho preso un chilo in una settimana. Gli ormoni tendono a provocare un aumento di peso, per cui devo fare parecchio movimento e questa settimana sembra che non ne ho fatto abbastanza. Ieri sera al corso di cucina poi non mi era sembrato di aver mangiato così tanto, ma forse mi sbaglio.
Ho provato ad indossare il vestito che metterò nel pomeriggio e fatto qualche fotografia per capire quale look funziona meglio. Dovendo vestirmi di nero, è una veglia funebre, ho notato che con il giubbotto chiuso non facevo lo stesso effetto. A casa prima di partire mi sono fatta alcuni selfie per verificare cosa funzionava e cosa no. La sciarpa viola, adatta a un funerale, sembrava più un paramento sacerdotale. Con il giubbotto chiuso sembravo più alta e robusta. Leggins oppure calzamaglia “80 den” e vestito lungo? Sciarpa oppure pashmina? Insomma scelte non semplici. Tengo i guanti oppure no? Ma in questo caso riuscirò a tenere bene il foglio da leggere in mano?
Alla fine ho scelto di tenere il giubbetto e l’ho aperto giusto a inizio evento, lo stesso per la pashmina che l’ho messa penzolante, ho sciolto i capelli, ma in futuro dovrò chiedere a qualcuno di sistemarli.

Alle ore 10:00 sono uscita con le mie vicine pensionate, per il consueto giretto in centro, dove loro prendono il caffè e io faccio colazione. Scambiamo due battute anche con due signore ultraottantenni, poi facciamo il giro dei negozi per la spesa. Mi fanno sentire integrata nel paese. Una scìura. In completo contrasto con chi sarò nel pomeriggio!
Tornata a casa ho iniziato i preparativi delle cose da portarmi e nonostante all’inizio che ero uscita di casa non avessi avuto freddo, quando siamo tornate a casa, dopo la spesa, cominciavo a sentirlo un po’ troppo. Quindi ho ripensato a che tipo di giubbotto indossare e alla fine ho deciso di rischiare. Non avevo previsto il freddo ai piedi!
Prima di partire da casa, per novanta minuti di viaggio tra auto e metropolitana, ho riletto il programma e ho scoperto che ci sarà anche un coro, dovrebbe uscire una cosa molto suggestiva e speriamo di colpire duro nell’animo delle persone che ci saranno in piazza.
Oggi faceva molto freddo e lo stare fermi mi ha congelato i piedi, avevo degli stivaletti che si sono rivelati “belli” e inutili. Tornando da Milano ho messo il riscaldamento molto alto, ma non è servito così tanto, così mi sono fermata e tolti gli stivaletti ho messo i piedi direttamente sulle bocchette dell’aria!
Ho cercato di curare il mio look in modo da avere un maggiore impatto sul pubblico e le foto, ne hanno scattate davvero tante e molti video fatti con lo smartphone. Però non avevo previsto il freddo gelido!
Il discorso? Non ho avuto il tempo di impararlo a memoria, ma l’ho letto a voce alta almeno una decina di volte in questi giorni, a volte riascoltandomi dallo smartphone. Pochi minuti prima dell’inizio ero sola e leggevo l’inizio sussurrando, quando una delle organizzatrici mi sbuca da dietro dicendo qualcosa sul fatto che vedeva che muovevo la bocca, ma non sentiva nessun suono. Ero incerta su come leggere l’inizio e avevo fatto qualche test immaginando l’effetto. Poi ho fatto poi alcuni esercizi di respirazione, ho bevuto una sorsata d’acqua e mi sono posizionata vicino alla cassa amplificata, tenendo in mano il microfono che era freddo gelato.
Alec mi si avvicina e scambiamo due opinioni sul testo, il 90% lo ha scritto lui. Gli ho detto che è un testo molto bello, ma non è fatto per essere letto a voce alta, ma io ho fatto teatro e sono comunque riuscita a leggerlo come si deve anche se ha tante virgole, pause e sott’intesi. Alec, invece, mi dice che gli è piaciuto il finale che ho scritto e che a lui non era venuto in mente. Questo lavoro di squadra tra persone in sintonia mi è piaciuto un sacco.
Mentre attendevo di parlare ero con un microfono in mano proprio al centro dello spazio e di fronte a me c’era un arco di persone tutte a guardarmi. Moltissime scattavano foto e facevano video. Mi sono emozionata? Un pochino. Paura da pubblico? Nessuna, anzi mi fa l’effetto opposto e mi da la carica.
Nella stessa piazza, in fondo c’è un musicante di strada con un’amplificazione da concerto che canta e che da parecchio fastidio. Qualcuno era andato a dirgli se almeno poteva fare pausa quando avremmo iniziato, ma fino a quel momento continuava a cantare. Più tardi verrà da me scusandosi perché non aveva capito la solennità del nostro evento. Mentre attendevo ho pensato che a parte il fastidio e che avrei dovuto alzare ancora di più la voce chiedendomi se avrei potuto raggiungere tale intensità, era anche una cosa simbolica di noi che cerchiamo di farci notare, ottenere dei diritti, ridurre le violenze e dall’altro lato il mondo che va avanti ignorandoci.
Al segnale convenuto a lato c’è un coro, chiamato “Checcoro“, che inizia a cantare un brano solenne. Nel frattempo dei volontari stendono delle bandiere trans sulle transenne che il comune ha messo davanti all’ingresso. Non per bloccare noi quattro gatti, ma perché in giro ci sono gruppi manifestanti di NoPass, e lì ci sta, ma soprattutto di irriducibili NoVax senza mascherine.
Spero che non arrivino da questa parte nonostante lo spiegamento di forze di polizia in piazza Duomo che dista 200 metri. A proteggerci è la galleria e i turisti che la invadono.

Altri volontari iniziano a posizionare al suolo delle piccole lapidi, fogli stampati e ritagliati, ognuna con un nome, età e tipo di morte. Sono oltre quattrocento le vittime di quest’anno per transfobia e suicidi. Per fortuna non c’è vento e non volano via, tranne qualche bandiera che ogni tanto scivola giù dalla transenna. Il meteo è dalla nostra parte, freddo, ma senza pioggia nè vento. Una degli assessori presenti mi ha detto che prevedono pioggia in settimana e lei ha organizzato un sacco di eventi all’aperto. Settimana prossima ci sarà anche la giornata contro la Violenza sulle Donne e mi rendo conto che ora sono il bersaglio sia dell’omofobia che della violenza contro le donne.
Il coro termina l’esibizione e comunque tutte le persone mi guardano dato che sono in mezzo e proprio di fronte a questo piccolo cimitero. Tolgo la mascherina, faccio un respiro profondo e inizio a parlare parlando più a voce alta che posso, cosa non poi così facile da quando ho cambiato voce con frequenze e toni più alti. Ancora una volta il miracolo “del teatro” dove finché si fanno le prove va tutto così così, mentre quando sei in scena con il pubblico accade qualcosa e tiri fuori tutto quello che hai dentro.
Questo non è teatro, è vita vera, ma la tecnica e le prove vengono in mio aiuto. Esordisco con una piccola modifica al testo prestabilito cercando di coinvolgere la gente e capire se la mia voce va bene. “Buongiorno Milano! Solo che per noi oggi non è un bel giorno
“. Avevo paura di fare un inizio stile concerto salutando Milano e fermandomi.

Ecco l’inizio del mio discorso, sopra quello dal vivo e sotto dopo quello provato in casa e che mi sembrava di averci messo energia, ma sembra spento in confronto a quello dal vivo!
Procedo la lettura con voce chiara grazie ai due anni di logopedia, uno di lettura espressiva, sei mesi di doppiaggio e tre anni di teatro amatoriale che mi assistono. Sento “mio” il discorso, ho imparato che se non capisci e non senti tuo il testo, nemmeno il pubblico lo capirà, ho una energia e potenza che escono da non so dove. Durante la lettura nei punti prestabiliti alzo lo sguardo al pubblico, continuando a parlare e cercando di “non perdere il segno”. In un paio di momenti riesco anche a guardare il pubblico per davvero, a teatro ti insegnano a ignorare il pubblico e quando guardi avanti deve sembrare comunque che sai che ci sono, ma non li vedi. Insomma un sacco di cose da fare mentre sembra che stai solo leggendo a voce alta.
La lettura è durata sette minuti, ma mi sono volati via. Mi è parso che in un attimo la mia parte era già tutta finita, seguita da un lungo applauso a cui ho risposto con un leggero inchino rivolto ai lati e al centro dell’arco di persone che avevo di fronte. Per un momento mi è venuto un pensiero: non è uno spettacolo, ma applaudono come se lo fosse stato, ora come faccio? E’ corretto ringraziarli come se fossi su un palcoscenico? Ho scelto il mezzo inchino ed è stato apprezzato.
Ho consegnato il microfono alla mia collega e presidente onorario della mia associazione, Monica R. e mi sono defilata tra il pubblico.
Il mio compito per l’evento era terminato, anche se in realtà qualcosa poi ho fatto.
Quando Monica ha terminato è ripartito il coro. Un’associazione aveva portato un sacco di rose, belle, ma in evidente stadio finale della loro vita, ma erano gratis! Qualcuno è partito prendendone una e depositandola su una lapide e altri volontari, tra cui io, abbiamo iniziato un avanti e indietro posandole tutte sulle lapidi. L’effetto visivo era spettacolare e di impatto, dava da pensare, cosa di cui Guglielmo contava quando ha ideato il programma.



Quindi altri volontari hanno letto i nomi e la causa di morte di tutte le persone indicate sulle lapidi, alcuni molto emozionati, altri timidi con voce troppo bassa, altri con una voce potente come per dire “ascoltate che sono stati uccisi”.

Intanto io facevo un giro esterno alla folla per scaldare i piedi sempre più gelati. Qualcuno mi fermava domandandomi cose, visto che ora sono un “personaggio pubblico” e forse importante dal loro punto vista, dato che ho aperto l’evento.
Ho salutato e fatto piccole chiacchiere sottovoce con alcune persone che non vedevo da almeno un anno. E’ incredibile quanto siano cambiati molti di noi, in poco tempo con le varie terapie ormonali. Siamo “gli stessi” nel senso che riconosciamo la persona, ma diversi e più simili al genere di aspirazione. Forse un po’ troppo “normali” rispetto allo scorso anno dove eravamo maschi che cercavano di essere donne e viceversa, nonché persone non binarie anche loro all’inizio del loro percorso. Ora siamo molto vicin* al punto di arrivo desiderato e come mi ha scritto la nostra Presidente Laura C., “Oggi il tuo entusiasmo dipende dal fatto che la tua transizione è recente e in corso. Spesso le strade si dividono, quando a un certo punto la transizione procede e la vita diventa più "ordinaria", ci si stacca dalle attività associative, dall'attivismo. Si fa la propria vita. Si "passa", e ci si lascia cullare da questa nuova "normalità". Se ti succederà, io lo comprenderò. Ma spero che non ti succeda, perché chi arriva ai margini di un percorso ha bisogno di persone solide, come te. Spero anche di poter dire come me.
“.
Da parte mia non dovrebbe esserci questo pericolo. Il dare agli altri è una cosa che ho sempre tenuto dentro e mi fa stare troppo bene quando aiuto, anche se poi chi lo riceve non seguirà quello che gli ho detto. Se accadrà mi spiacerà molto perdere di vista persone con cui ho condiviso alcune cose importanti della transizione.

Il finale è stato geniale sia dal punto vista mediatico sul pubblico che organizzativo. Chi raccoglie le lapidi e le rose sparse in giro? Guglielmo ha invitato il pubblico “per non dimenticare” di prendere una lapide e portarla a casa. Ovviamente tantissime persone hanno anche preso le rose. Io mi sono ritrovata in mano un bel bouchet e per fortuna avevo i guanti di pelle, perché erano talmente naturali che erano piene di spine. Per un attimo avevo pensato di gettarle via, ma mi sono resa conto che è il mio primo mazzo di fiori. Non me lo ha regalato una/uno spasimante, ma comunque è uno splendido mazzo di rose.

Dopo alcuni minuti ho salutato e mi sono diretta alla metropolitana, mentre a pochi metri la polizia ingaggiava dei fermi ai manifestanti troppo esaltati (cosa che ho scoperto dalla TV). Ovviamente nei telegiornali hanno parlato di quest’attività di violenza e non di noi, ma noi vogliamo che la considerazione nei nostri confronti sia pacifica e non tramite violenza che chiamerebbe altra violenza.
Nella metropolitana ho ricevuto molti sguardi per via del mazzo di fiori enorme, ma io stavo pensando ai miei piedi che non si stavano riscaldando affatto!
Ho postato alcune foto sui social e privatamente ricevendo molti commenti di affetto cosa che mi fa sempre sentire amata e ben voluta.
Elena A. “Hai fatto qualcosa di importante
“

Verso la fine dell’evento parlando con uno dei “fotografi” ho chiesto dove avrebbero inviato le foto, più che altro “per vedermi dall’esterno“. Allora mi ha fatto vedere nel mini monitor della camera un paio di foto che mi ha scattato e anche questa volta sono rimasta piacevolmente sconvolta su quanto sono fotogenica e di impatto in questi eventi. Poi ho scoperto che la mia amica Rosanna mi ha anche filmato, dribblando il fotografo ufficiale che ha fatto il video e così ho visto come ero dall’esterno in movimento.
Cose che dovrò migliorare: un leggero ingobbimento dovuto al fatto che con una mano reggevo il microfono vicinissimo alla bocca e con l’altra reggevo e leggevo il testo. Ho dondolato un pochino all’inizio, ma avevo un metro di zona di movimento laterale e il filo del microfono che rischiava di attorcigliarsi. Dovrò osservare più a lungo il pubblico e fare qualche piccola pausa ogni tanto.
Cose tecniche che sicuramente ho notato solo io rivedendomi nel video, ma sono una perfezionista.
Ultima nota su una cosa che voglio condividere. Prima dell’inizio ci siamo separati io, Laura e Nik, nel piano non dovevamo sembrare un gruppo e confonderci con i passanti. Tra le varie cose di cui abbiamo parlato è appunto violenza di transfobia e sulle donne. Secondo Nik e sono d’accordo, c’è questa cosa della società che il maschio deve essere potente, il capofamiglia. Nik che è partit* con la transizione dal femminile, ha detto che “di questi vantaggi non so cosa farmene“. Io da maschio non li ho mai sentiti miei.
Un’altra cosa curiosa è relativa all’empatia e sul carisma che non è relativo al genere, ma sicuramente al sentirsi bene nel proprio genere. Da maschio non sembravo essere una persona interessante e non facevo presa sulle persone (carisma zero), da donna è esattamente all’opposto, alla gente piace parlare con me, mi considerano (anche gli sconosciuti) e sentono una carica emotiva e di energia che le mette a loro agio (carisma mille). Lo stesso è accaduto a Nik, con un percorso opposto al mio, quindi non sembra essere una cosa relativa al maschilismo e la femminilità.
Mi hanno detto “Sei una persona molto socievole ed entri in relazione con una delicatezza e una apertura non comuni
“. Il bello è che mi sento normale nel farlo, dovevo proprio uscire dal mio guscio maschile.
Questo mio secondo TDoR e mi ha lasciato dentro qualcosa e non solo una vaga emozione come per lo scorso anno che eravamo in lockdown. (https://blog.simiula.com/blog/2020/11/19/tdor-the-day-of-remembrance/)

Guglielmo “Grazie Bianca per essere venuta, hai spaccato
“
Laura C. “Sei una forza della natura
“
Barbara F. “Noi e voi è terribile, speriamo in un mondo migliore
”
Monica R. “Complimenti
. Ti stimo molto
”
Marzia “Alle 16 mi raccoglierò per dei momenti di silenzio e ricordo, a distanza…. bellissima e giusta iniziativa, sensibilizza ed emoziona tutti con le tue parole, Bianca! Un grande abbraccio
“
Dina “Come sei femminile! Molto dolce, uno sguardo affettuoso al mondo. Molto orgogliosa di te. Felice
”
Sofia ”Direi di si lo avevo letto velocemente che lo hai postato e comunque sei incredibile nel tuo blog descrivi tutto con una precisione incredibile, davvero molto brava complimenti.
”
Silvia “Ho letto tutto l'articolo, complimenti Iula per la lettura e per il contributo che dai a questa importante causa
”
Stefania “Bravissima Bianca!!!! E hai fatto bene a guardare il pubblico : lì non eri un personaggio in un lavoro di teatro ma te stessa e per arrivare al pubblico, specialmente per il messaggio importante che mandi, non puoi guardare un punto alll'infinito, (sembreresti distaccata), devi 0roprio guardare le persone di fronte a te!!
”
Brava, brava, non avevo dubbi!!!
Sara “Bellissimo anche se doloroso discorso, mi dispiace così tanto delle difficoltà che dovete affrontare.
”
Zio matto “Ciao Bianca, brava come sempre in tutto ciò che fai, perché ci metti l'anima. Un abbraccione anche da parte di Zia Vanda.
”
Beatrice B. ”Certo che sei una forza della natura! Sempre avanti tutta! A presto!
”
Francesca M. ”Brava, ti esponi
”
Lucia “brava Bianca, sono fiera di conoscerti.
”
Maia “Molto importante parlarne e esserci in piazza. Bravissima
”
Elena K “Finito adesso di leggere la giornata del ricordo. Non pensavo che le vittime di un diritto personale, fossero così tante. Non posso immaginare l’angoscia di sentirsi rifiutati in un percorso di cambiamento così importante.
”
Brava Bianca l’apertura dell’evento è toccante.
Ecco il testo del mio discorso. Autori Alec e Bianca. Segue più sotto il video dell’evento.
Buongiorno Milano. Mi chiamo Bianca e sono in rappresentanza dell’associazione ACET “Associazione per la cultura e l’etica transgenere”, ma in questo moménto vorrei rappresentare tutte le persone trans e non binarie del mondo.
Siamo oggi per il TDoR , the day of remembrance. Il giorno del ricordo.
Perché è importante questa giornata?
Per ricordare che la transfobia va combattuta insieme alle altre forme di violenza. Ricordarlo a noi persone trans, a familiari, amici e a tutte le persone. Soprattutto a quei politici che sono contrari alla tutela dei diritti e della vita di chi non fa parte della loro cerchia, inneggiando slogan e idee che nel mondo moderno
non hanno più senso. Per nostra fortuna, il mondo e soprattutto le giovani generazioni si stanno evolvendo
nonostante una politica degli adulti fuori moda e fuori dal tempo. Ma c’è ancora tanto da fare per cambiare la società in meglio.
Ricordiamo che siamo tutti simili e diversi ed è proprio la diversità che segue l’evoluzione della specie.
La transfobia sta nelle piccole cose, ad iniziare dai commenti che ci rivolgete quotidianamente, siano essi scritti mediante una tastiera o resi espliciti verbalmente.
Commenti che il più delle volte racchiudono una curiosità morbosa nei confronti dei nostri corpi transgender, spesso al limite del feticcio; ma anche un totale rifiuto di essi, attraverso una violenza verbale, psicologica, e troppo spesso, fisica.
Ma non solo, perché la transfobia si fa anche spazio nella vostra (e nella nostra)
educazione, impartitaci sin dalla più tenera età, ed in cui vi è tutto quel che si può e non si può. E che porta, poi, gli adulti di domani a relegarci ai margini della società, come reietti.
Perché ad oggi è ancora troppo difficile accettare che una persona compia un percorso di accettazione di sé. Che (quella persona) sia sé stessa a 360 gradi, mostrando anche all’esterno, con orgoglio, il raggiungimento di quella meta, del tutto personale.
Che tanto arricchisce noi, ma NULLA leva a voi.
Sì, perché ad oggi siamo noi e voi. C’è una barriera a dividerci, e quella barriera è la mancanza di dialogo.
Un dialogo, che voi, credete si possa fermare a ciò che pensate di noi, e non ciò che sapete e avete appreso dalla nostra esperienza diretta.
Avete bisogno che i nostri corpi siano studiati, patologizzati. Che ci si consegni in mano un diploma di incongruenza di genere, per poterci credere! E spesso nemmeno quello basta, o non ci ritroveremmo qui, ogni anno, a contare le nostre vittime.
Vittime non solo dell’odio, non solo dell’ignoranza, ma di transfobia.
Il 20 novembre 1998 è la data dell’assassinio di Rita Hester, con la prima veglia funebre svoltasi l’anno successivo a San Francisco. Da allora sono passati ben 23 anni!. E ora come allora, gridiamo forte i nomi di chi, ancora oggi, non ha avuto giustizia, e probabilmente non ne avrà ancora per molto. Perché per quanto possiamo urlare non c’è nessuno ad ascoltarci.
Ogni anno, le vittime, sono sempre di più. Quest’anno ne abbiamo contate 409. Un numero – che ve lo dico per correttezza – non è veritiero: è gravemente sottostimato! Perché non tutti i loro nomi, i loro corpi, raggiungono una testata giornalistica.
Questo è il caso di Mei, una delle nostre più care sorelle, conosciuta ad inizio 2019.
Mei aveva 19 anni quando è venuta a mancare, come ci disse Laura Caruso, presidente di ACET, nell’annunciarci questa grave perdita. Noi diciamo “è mancata“, ma le parole sono importanti, e Mei si è suicidata.
Questo è solo un riflesso di una grande realtà: nella nostra comunità non c’è solo l’omo-cidio, ma anche un altissimo tasso di suicidi. Suicidi dovuti a quei commenti di cui vi parlavo all’inizio, a quella violenza verbale e fisica, che ci rivolgete spesso anche inconsciamente.
Per questo siamo qui. Siamo qui perché è tempo che la comunità transgender possa finalmente cessare di vivere nella paura. Perché se il TDOR per voi è solo un giorno all’anno, per noi è ogni giorno, e non possiamo più permetterci di attendere che arrivi il nostro turno. Nessuno merita di ritrovarsi in quella lista!
È tempo per i cittadini, ma così come le istituzioni, che ci vedano, ci ascoltino, e che prendano tutti atto del fatto di come fino a quando ci ritroveremo qui ogni anno, si renderanno inevitabilmente complici di tali atrocità.
Abbiamo ripetuto nel lockdown, come un mantra, che “dopo” saremmo stati migliori. Siamo quasi giunti “al dopo” ed è di già il momento di dimostrarlo a voi stessi e alla società.
Grazie per essere qui con noi oggi.